La cronaca ne è piena, tanto che non fanno più notizia se non quando dalle botte si passa all’omicidio. E il passo non è così lungo. Proprio ieri a Veroli, in provincia di Frosinone, un uomo di 44 anni ha menato e poi gettato dalle scale la moglie, uccidendola. E recente è la storia di Chiara, la 19enne ridotta in fin di vita dal compagno. Denunciano da anni i troppi episodi di violenza di genere le associazioni e ultimamente se ne occupa anche la politica che dopo rinvii e discussioni in aula ha approvato la legge regionale numero 33 che definisce il “Riordino delle disposizioni per contrastare la violenza contro le donne” e istituisce una cabina di regia e un osservatorio. Un milione di euro l’anno (per il triennio 2014-2016) a supporto delle attività necessarie per finanziare le azioni previste dalla legge regionale. A cui si aggiungono le risorse comunitarie iscritte nella programmazione 2014-2020.
LA LEGGE - Uscire dall’emergenza è la parola d’ordine. L’obiettivo è “soprattutto di prevenire l’estensione del fenomeno sul territorio", spiega Simone Lupi, primo firmatario della legge. E quindi potenziare i servizi ed estendere la presenza dei centri antiviolenza e case rifugio. Con delle novità: "Le case di semiautonomia, strutture di secondo livello per donne che non hanno raggiunto piena autonomia al momento della dimissione dal centro – ha spiegato ancora Lupi – e la possibilità per la Regione, nell'ambito del proprio patrimonio, di concedere immobili in comodato d'uso ai centri antiviolenza". Quello della violenza sulle donne, fa notare Marta Bonafoni del gruppo Per il Lazio, “ è soprattutto un problema degli uomini: le vittime di femminicidio in Italia nel 2013 sono state 134”. E proprio per mano di mariti, compagni ed estranei le donne perdono la vita “più che negli incidenti stradali o per le malattie”, ricorda l’assessora alle Pari Opportunità Concettina Ciminiello.
I CENTRI NEL LAZIO - Nel Lazio a prendersi cura delle vittime della violenza di genere ci sono 22 strutture censite nel novembre 2013 dall'assessorato regionale alle Politiche sociali: 5 centri antiviolenza e 7 centri con case rifugio ad indirizzo segreto, tutti gestiti da associazioni di donne, a cui si affiancano 10 sportelli antiviolenza che svolgono principalmente attività di informazione e indirizzo verso i centri. Si tratta della prima mappatura istituzionale realizzata sulla base di un'indagine svolta dalla Filas (Finanziaria di sviluppo della Regione Lazio). Delle 22 strutture censite, 17 si trovano in provincia di Roma (4 centri, 5 case rifugio ed 8 sportelli); uno sportello a Frosinone, uno a Rieti, 2 case rifugio a Latina ed un centro antiviolenza a Viterbo. In totale, dunque, i posti in residenza protetta sono 57: 42 nelle 5 case di rifugio della provincia di Roma e 15 nelle 2 di Latina. A questi letti se ne aggiungono 38 disponibili presso altre strutture di accoglienza, principalmente case famiglia, e 28 presso case ad indirizzo segreto. Oltre alle 22 strutture censite, sono attivi 13 sportelli all’interno di diverse strutture sanitarie del Lazio, (11 in provincia di Roma , uno a Rieti e uno a Viterbo) e 3 sportelli di consulenza legale, uno presso il tribunale dei minori di Roma, gestito dall’associazione Differenza donna e gli altri due coordinati da associazioni di avvocati donna. I servizi per il contrasto alla violenza contro le donne verranno potenziati grazie alla legge 33, ma saranno anche estesi a tutto il territorio regionale: c’è infatti una buona copertura nella provincia di Roma, mentre la rete risulta, "insufficiente nel resto del Lazio", come spiega l'assessora al Sociale Rita Visini.
LO SPORTELLO DONNA AL SAN CAMILLO – Fuori dalla legge regionale appena approvata sono rimasti i presidi nei pronto soccorso. Come lo sportello dell’associazione Be free al San Camillo Forlanini. Aperto h24 dal 2009, anno in cui è nato, ha preso in carico 2000 donne, “la maggior parte di loro – racconta a Paese Sera la presidente Oria Gargano – non sarebbe mai arrivata in un centro anti violenza”. La peculiarità del servizio è infatti che le vittime di violenza vengono “intercettate” nell’ospedale dove si recano “spesso accompagnate da compagni ipocritamente premurosi, ma in realtà controllanti”, fa notare Gargano. Gli stessi che hanno causato loro i danni per cui devono ricorrere alle cure dei sanitari. Lo sportello di Be free funziona grazie alla collaborazione con medici e paramedici che hanno ricevuto una formazione e segnalano tempestivamente alle operatrici i casi sospetti. “Bisognerebbe costruire una rete tra le strutture – suggerisce Gargano – perché queste donne, proprio per non destare sospetti, non vanno quasi mai nello stesso ospedale per evitare di creare una storia clinica”. Il lavoro prezioso svolto da Be free, però, è sempre a rischio, perché legato ai finanziamento dei bandi pubblici. Tanto che nel 2011 per un anno il servizio si è retto sulle spalle delle operatrici che hanno prestato volontariamente la loro professionalità. “Quello dell’operatrice antiviolenza – dice Gargano – è un profilo che va definito bene, così come andrebbe garantita l’assunzione se le risorse ce lo permettessero”.
LA LEGGE SULL'EDUCAZIONE SENTIMENTALE - Vanno trovati i fondi e la volontà politica anche per approvare la proposta di legge avanzata dalla deputata di Sel Celeste Costantino per l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole per “la crescita educativa, culturale e emotiva dei giovani e delle giovani in materia di parità e solidarietà tra uomini e donne”. Spetta all’istituzione scolastica promuovere “il cambiamento nei modelli di comportamento socio-culturali di donne e uomini per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull’idea di una differenzazione delle persone sulla base del genere di appartenenza o su ruoli stereotipati per donne e uomini, in grado di alimentare, giustificare o motivare la discriminazione o la violenza di un genere sull’altro”.
I CORSI ALL'ASILO PER DECOSTRUIRE PREGIUDIZI - Nella stessa direzione va l’esperimento svolto dall’associazione Scosse che svolge corsi di formazione negli asili nido e scuole per l’infanzia per “decostruire pregiudizi e stereotipi di genere”. La stessa associazione organizza anche laboratori e letture animate per bambine e bambini alla libreria Tuba, in via del Pigneto 19, sempre con l’intento “di educare alla differenza e al rispetto dell'alterità”. Un’iniziativa voluta dal Comune di Roma ma osteggiata da parte del mondo cattolico, preoccupato del fatto che i piccoli alunni possano fare confusione tra “mamma” e “papà” e crescere con identità di genere non abbastanza definite. Le donne, insomma, devono restare Cenerentole in attesa del Principe Azzurro, poco male se quando arriva può finire poi che le uccida gettandole dalle scale.
(Qui gli sportelli e i centri antiviolenza di Roma e provincia)