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Afro e il suo percorso creativo§In mostra a Roma quadri e bozzetti

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A Roma Afro mancava dal 2003, quando gli venne dedicata un’importante personale a Palazzo Venezia. A 100 anni dalla nascita, arriva al Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese una nuova mostra sulle opere dell’artista che scelse la città eterna come patria elettiva, nutrendosi del contesto artistico degli anni post conflitto e di quelli che videro il successivo fiorire della pittura astratta. Non la prima (né certamente l’ultima), visto che Afro Basaldella è, ad ammissione della stessa curatrice della personale Barbara Drudi, tra gli artisti italiani maggiormente “esposti” sia in Italia che all’estero. Ma la mostra promossa dall’Assessorato alle politiche culturali di Roma con la Fondazione Archivio Afro vuole darne una nuova rotta interpretativa, indagando l’affascinante territorio della creazione artistica nelle sue diverse fasi della concezione e dell’elaborazione dell’opera. “Ci voleva un taglio particolare – spiega la Drudi – per questo abbiamo scelto di concentrarci sulla complessità del processo creativo in Afro: un’idea mai esplorata che getta una nuova luce su un artista conosciuto ai più come pittore gestuale, espressionista”. 

DAL PROGETTO ALL’OPERA – Si chiama, infatti, Afro. Dal progetto all’opera. 1951-1975 l’esposizione che inaugura domani e che rimarrà aperta al pubblico fino al prossimo 6 gennaio. Trentasette le opere in mostra - tra quadri, studi e bozzetti - che, più che seguire un rigoroso percorso cronologico, svelano, muovendosi per suggestioni, l’elaborato procedimento artistico del pittore friulano che visse dal ’46 fino alla morte a Roma. A fianco dell’opera definitiva, laddove possibile, i curatori (Peter Benson Miller con la Drudi) accostano i disegni preparatori, come nel caso del Negro della Lousiana (‘51), in cui si fa sentire l’influenza futurista, o de La caccia subacquea del ’55, il cui bozzetto su carta intelata moltiplica la visione. “Sono studi realizzati quasi sempre a carboncino e spesso di grandi dimensioni, come le tele finali – commenta ancora Barbara Drudi – Afro riusciva ad imprimergli luci ed ombre, quasi adoperasse il colore. E l’effetto ricorda da vicino i cartoni preparatori per gli affreschi: un modo per mantenere vivo il legame con le tecniche e i procedimenti della tradizione, pur applicandoli all’arte del proprio tempo”. Tra i disegni in mostra ci sono anche gli Studi per ragazzo con il tacchino del 1954 (l’opera finale è di stanza al MoMA di New York): cinque bozzetti, dal primissimo schizzo all’apparizione della figura umana fino all’intervento del colore, che ben sintetizzano il graduale sviluppo dell’opera.

IL PROGRESSIVO APPRODO ALL’ASTRATTISMO - “Le tele di quest’epoca – continua la Drudi - dimostrano come nei primi anni ’50 Afro partisse da un dato di realtà (o di memoria) nel mettere mano ai suoi quadri, dimostrando il forte legame con la cultura europea e con la poetica del gruppo degli Otto, a cui aderì nel 1952. Dopo la metà degli anni ’50, con l’influenza della pittura americana, si verifica un allontanamento dai dati di realtà in favore di un espressionismo astratto con cui si tende ad azzerare tutto per ripartire dal gesto puro sulla tela”. Sono gli anni della preparazione della grande opera Il giardino della speranza, decorazione della nuova sede del Palazzo dell’Unesco a Parigi. Siamo nel 1958: insieme ad Afro vengono chiamati a partecipare al progetto Appel, Arp, Calder, Matta, Mirò, Picasso e Tamayo. La mostra ne espone parte dei bozzetti (Afro ne dipinse oltre quaranta) in un’apposita sezione. Poi le tele degli anni ’60, in cui lo studio preparatorio sembra diventare opera definitiva, come in Disegno Grande o Carta Grigia e Nera. Fino ad arrivare alla geometrizzazione degli anni ’70, con Tiresia(’75), fra le ultime opere realizzate da Afro, che morirà un anno dopo.


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