Uno stereotipo da sfatare, le donne immigrate in Italia per svolgere lavori “poco gratificanti” come le colf e le badanti, non sono donne sfortunate come le si immagina o come le si vuole immaginare. Arrivate nelle nostre città per cercare lavoro, rappresentano una comunità in continuo movimento e dai tratti molto interessanti. Conoscono la nostra cultura a volte forse anche meglio di noi.
IL DOSSIER - Oggi pomeriggio, presso la sede della Provincia , alla presenza del presidente Zingaretti e dell’assessore Cecilia D’Elia, è stato presentato il dossier dal titolo “Così vicine, così lontane” a cura delle associazioni Lipa e No.Di (Nostri Diritti). Si tratta di una ricerca svolta negli ultimi due anni, sui bisogni e i consumi culturali delle cittadine straniere che svolgono lavori di badanti, colf e tate, nel territorio della provincia di Roma. Un’indagine qualitativa condotta attraverso 100 interviste di cui 87 a donne che svolgono lavori di cura, 10 donne ex badanti e 5 maschi che attualmente svolgono il lavoro di badante.
LA PROVENIENZA - La fascia di età è tra i 40 e i 50 anni, i Paesi di provenienza sono 30. Il 41% di esse proviene dai Paesi dell’Est Europa, in particolare dalla Romania. La ricerca è stata fatta con interviste realizzate in otto biblioteche del circuito della Provincia, presenti Anzio, Bracciano, Fiumicino, Ladispoli, Lanuvio, Mazzano Romano, Tivoli e Zagarolo. Luoghi di accoglienza a forte vocazione multiculturale che hanno ospitato anche una mostra bibliografica sul mondo delle badanti di ieri e di oggi, italiane e straniere, tramite film, libri e diari.
Dalla ricerca emerge come queste donne leggano più dei cittadini italiani, siano appassionate di romanzi e poesia, preferiscono le letture in lingua italiana e sanno anche usare bene strumenti come i social network, skype e internet.
L'ASSESSORE - “Amministriamo un territorio abitato da cittadini di tutto il mondo, per cui abbiamo ritenuto importante e necessario conoscere meglio le donne immigrate in Italia, i loro interessi culturali, cosa piace loro leggere, di che cultura sono portatrici e dove vanno a passare il loro raro tempo libero – ha spiegato l’assessore Cecilia D’Elia -. Il dossier è stato fatto in collaborazione con otto biblioteche all’interno del progetto Biblioteche del Mondo, che si sono rivelati anche punto di riferimento per queste donne. Questa ricerca è un’operazione controcorrente e in un periodo in cui si parla di tolleranza zero, aiuta ad abbattere molti stereotipi su queste persone, che al contrario di quello che si pensa, sono molto acculturate e interessate alla nostra cultura. Nonostante stiano così vicine a noi, nessuno si pone domande circa i loro interessi, spesso interessano solo in quanto sono indispensabili per le famiglie italiane e in perché fanno girare l’economia”.
LE PROTAGONISTE - Sono loro stesse a raccontarsi nel dossier. “In gioventù leggevo tanto per piacere, ora leggo solo per informarmi” dice Amelia, rumena, mentre Olga che viene dalla Russia dice: “Da sempre mi piaceva l’Italia da quando leggevo libri in lingua italiana, come i libri di Rodari attraverso i quali ho scoperto l’esistenza di Cesenatico”. Elisa, anche lei rumena invece racconta: “Hanno aperto una grande libreria nel centro commerciale la Romanina dove spesso vado per comprare una borsa, ma puntualmente finisco in libreria e invece della borsa compro un libro”.
Sono stati intervistati anche 5 badanti maschi per sfatare l’idea che questo sia un lavoro esclusivamente “da donne” e alcune donne ex-colf per dimostrare come la società sia in continuo mutamento e che queste persone non sono obbligate a fare sempre lo stesso lavoro. Fra i suoi obiettivi la ricerca ha voluto mettere in luce due cose fondamentali: dimostrare come le politiche culturali per orientarsi abbiano bisogno di guardare ai grandi mutamenti del presente e poi rafforzare l’idea che i bisogni culturali siano bisogni primari, imprescindibili, che legano le persone al senso più profondo della propria esistenza e dei propri affetti. Tutto ciò mentre la crisi economica ha portato a declassare la cultura come bisogno secondario.