La gestione dell'Angelo Mai - è un dato di fatto - è stato vista sempre in un''ottica emergenziale e non di messa a sistema di un discorso culturale strutturato. Ma il dibattito su come non soltanto tenere in piedi, ma anche rendere più efficace il percorso produttivo e aggregativo garantito fino ad oggi da uno degli spazi capitolini più vivaci e interessanti del panorama culturale romano, è ricominciato. Ieri pomeriggio un incontro per fare il punto e proporre idee concrete.
«La volontà di vederci - esordisce Silvia - parte dall'esigenza di guardarsi negli occhi e iniziare a confrontarsi su come rilanciare e definire in modo specifico spazi come questo che hanno una vocazione culturale». L'Angelo Mai - sono tutti d'accordo - deve poter gestire un flusso di persone alla luce del sole. Il problema è come riuscirci. Le critiche sul tavolo vanno dai limiti strutturali della delibera 26 a quelli relativi all'utilizzo della forma associativa.
«L'associazionismo culturale - dice Graziano - non può garantire questa formula. Trovare una formula giuridica ad hoc per fare esistere posti come questo è fondamentale». «C'è un tema - continua - che è quello del reinvestimento delle risorse che questi spazi intercettano attraverso il lavoro volontario. Secondo me bisogna richiedere a gran forza una zona cuscinetto fra quello che è l'esercizio privato e quello che sono i finanziamenti e le strutture pubbliche nella vita culturale di una città». Se esiste una possibilità - la pensa così Graziano - per chiedere che esistano sistemi fiscali di tipo diverso rispetto ad un esercizio commerciale all'interno di luoghi come gli spazi occupati - una volta regolarizzati - è proprio il tema della produzione. «Il discorso sulla defiscalizzazione - dice -deve essere portato avanti non solo perché c'è un discorso politico aggregativo ma anche sulla base del fatto che questi luoghi utilizzano il lavoro volontario e la rete politico-culturale creata, per fare un servizio pubblico».
«Essenzialmente - è il parere di Sandro - bisogna più in generale che si interrompa il processo di privatizzazione degli spazi pubblici. La critica alla delibera 26 va raccordata ad una battaglia di più ampio respiro. Occorre cioè perseguire il superamento della 26, che va visto in divenire anche rispetto agli altri spazi che in questa città devono essere disponibili. E occuparsi della questione del profilo giuridico: si potrebbe per esempio pensare ad applicare alle realtà di produzione culturale lo stesso sistema che si applica nell'impresa sociale che assicura i servizi».
«In questo momento - aggiunge Ciro - non viene riconosciuto il valore aggiunto che uno spazio come l'Angelo Mai dà alla città, facendo economia. Rompere questo presupposto è ribaltare la logica che guida l'operato delle istituzioni pubbliche». Un centro culturale che si autosostiene non ricevendo nessuna ingerenza politica nella gestione dello spazio è un bene prezioso che va insomma difeso con i denti. Ma il dibattito politico e pragmatico sulle possibili soluzioni è appena cominciato. Quel che appare chiaro è l'esigenza di regolarizzare un percorso avviato da tempo mantenendo intatta la sua specificità e valorizzando la sua diversità. Capace di trasmettere il fascino del contemporaneo, fuori dalle logiche istituzionali.