Senza lavoro e senza pensione. Neanche l’incontro di stamane con i dirigenti del ministero del Lavoro porta a una svolta. Erano considerati dei privilegiati, oggi che sta per finire la cassa integrazione e la riforma Fornero allontana la pensione, i 4mila lavoratori dell’Alitalia-Cai si sentono “privati del futuro”. Per questo in 200 si erano dati appuntamento in via Veneto.
Sono i piloti, i controllori di volo, gli amministrativi, gli operai di rampa, assistenti insieme a diverse sigle sindacali e associazioni. Uniti “per rivendicare lavoro e dignità”. C’è l’assistente di volo che mostra la sua foto di 4 anni fa, in lacrime dopo la notizia della svendita di Alitalia, e che fece il giro di tutte le pagine dei quotidiani. E c’è l’impiegato che prima cura la cessione del ramo d’azienda e poi a sua volta si ritrova abbandonato nel limbo dei disoccupati. “Ho una bambina di 11 mesi – racconta Alessandro De Turres – a 38 anni, e con 10 di anzianità, per l’azienda non sono più valido, perché le figure ricercate non devono superare il tetto dei 35 anni”. È senza stipendio e senza cassa integrazione dallo scorso febbraio per colpa di un cavillo burocratico. “Chiedo solo di essere tutelato come essere umano” spiega.
LA RIFORMA FORNERO - Il presidente dell’associazione Anelta, Mario Canale, se la prende con i patti siglati nel 2008. “L’accordo quadro – afferma – prevedeva che gli esuberi di Alitalia fossero da reintegrare o avviare
alla pensione. Per 4mila persone non avviene né l’una né l’altra cosa”. La colpa è della riforma pensionistica voluta dal ministro del Lavoro Elsa Fornero, che sposta il traguardo aumentando l’età. Così, alla scadenza della mobilità “i drammi nelle famiglie saranno quotidiani” aggiunge Canale. Sul banco degli imputati anche la Cai che “assume precari senza pescare nel serbatoio dei cassintegrati”, attacca il presidente di Anelta. Che aggiunge: “Lo scorso anno abbiamo promosso una class action contro il governo perché nella vendita della compagnia di bandiera, non sono state rispettate le regole”. Riprendendo una sentenza della Corte di giustizia europea emessa nel 2009. Maurizio Malta della Filt-Cgil è disgustato da una “politica che si aumenta la dotazione di finanziamento pubblico e abbandona al proprio destino i lavoratori e l’Alitalia”. Che nonostante la cura da cavallo dei licenziamenti ha chiuso il primo semestre con un buco di bilancio da 200milioni di rosso. “Questo – continua Malta – accade perché non si è investito su lungo raggio dove c’è ampio margine profitto”.
Ivano Peduzzi, consigliere regionale della Fds, ricorda che questa vicenda è figlia della “soluzione nazionalista voluta dall’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi”. Con una crisi manageriale scaricata sulla collettività. La via d’uscita, per Peduzzi, è “abbassare il costo lavoro e assumere i precari”.
FIUMICINO - “È il più grande licenziamento industriale dal dopoguerra senza giusta causa”, tuona Carlo Gagliotto. Il comandante del “B777”, in cassa integrazione per altri 2 giorni, rivela che il suo posto “è vivo e occupato da un precario”. “Paghiamo un’operazione di integrazione del debito privato di Air one con quello pubblico di Alitalia e va a carico del contribuente italiano – ricorda Gagliotto – È paradossale se comparato con il potenziale turistico del nostro Paese”. Senza dimenticare che è allo studio il raddoppio dell’aeroporto di Fiumicino. Costo: 7 miliardi di euro. “Non serve – afferma il pilota – perché basti pensare che Francoforte ha 3 piste come il Leonardo da Vinci e ha già il doppio del nostro traffico”. Come accade per l’hub di Londra.
E LE COMPAGNIE STRANIERE RINGRAZIANO - La convinzione dei manifestanti è che sia una manovra a vantaggio delle compagnie straniere. Arrivano i delegati sindacali, le facce non promettono nulla di buono. Dopo l’incontro con i rappresentanti del ministero del Lavoro, le uniche garanzie arrivano per chi nel 2008 aveva maturato il diritto alla pensione. Per loro l’ancora di salvezza dovrebbe esserci. Per tutti gli altri inizia la procedura di mobilità fino al 2015. Che sa di beffa, perché loro a quel traguardo, per ora, non possono arrivare.