“Oggi in Italia ci sono poche questioni di rilevanza nazionale. Le donne ammazzate sono una di queste”. Per una volta l’allarme non proviene dal mondo delle femministe (non solo almeno). Ma da Riccardo Iacona, uomo e giornalista. L’occasione è stata la presentazione del suo ultimo libro “Se questi sono uomini” (Edizioni Chiarelettere) nello spazio dell’associazione DaSud al Pigneto. Che, in vista del 25 novembre (giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne), ha lanciato una rassegna intitolata “#Femminicidio la prossima potrei essere io”.
RITORNO ALLA SOCIETÀ TRIBALE– Si è partiti dai numeri: “dal 2006 al 2012 – ha ricordato Iacona – il numero dei femminicidi è aumentato”. Non può essere un caso. Su questo punto l’accordo è massimo. Un po’ meno scontato il dibattito sulle cause. Secondo Maria Pia Pizzolante di Tilt, “la crisi economica, col suo carico di disoccupazione femminile, sta acuendo il problema”. “Probabile – ribatte Iacona – ma non credo ci sia una connessione diretta”. Il nodo vero, secondo il giornalista, sta in una società che pare aver alzato “il livello di accettazione della violenza di genere”, rispolverando “valori e comportamenti da società tribale”. A Enna così come nella civilissima Cesena. Difficile spiegare altrimenti la solitudine delle vittime raccontate nel libro. “Parlando con i parenti, gli amici, le forze dell’ordine persino, ho scoperto che tutti sapevano. E tutti sono rimasti a guardare, bollando come ‘normale conflittualità’ una violenza che sarebbe invece sfociata in omicidio”.
UNA GUERRA DI GENERE– C’è infatti un filo rosso che lega queste storie. Diverse per età, provenienza sociale e geografica dei protagonisti. “Tutte queste donne sono morte per aver compiuto un atto di ribellione nei confronti del loro uomo”. In molti casi dopo aver chiesto aiuto alle forze dell’ordine o ai centri antiviolenza. Questo chiama in causa le stesse basi del rapporto tra i sessi. “Crisi del maschile”, la chiama qualcuna. “Incapacità di amare”, qualcun’altra. Riccardo Iacona la definisce “una guerra”, che testimonia “il forte arretramento italiano sulla questione femminile”.
LE RESPONSABILITÀ DELLA POLITICA– Un giudizio molto duro, che naturalmente chiama in causa omissioni e pregiudizi ideologici di larga parte della classe politica. Locale e nazionale. Un tema molto sentito a Roma e nel Lazio dove, ricorda Laura Triumbari di DaSud, “l’amministrazione comunale e regionale non solo pare indifferente al problema, ma addirittura rema contro le donne”. Tagliando fondi ai servizi antiviolenza e lanciando iniziative discusse e discutibili come il cimitero dei feti o la legge Tarzia. Di questi giorni la polemica, raccontata da Paese Sera, circa la proposta di cambiare nome e mission allo sportello antiviolenza del Comune (da “Sos Donna” a “Sos Persona”). Fondata su una strana ricerca in base alla quale nella Capitale 500 mila uomini sarebbero vittima della violenza femminile. Non il contrario.
UN’INFORMAZIONE STOP & GO– Impossibile tacere delle responsabilità in carico ai mezzi di informazione mainstream. È stata proprio questa la molla che ha spinto Iacona nella sua inchiesta. “Guardando i tg o leggendo i giornali, mi sono reso conto che i femminicidi venivano presentati come storie d’amore andate a male, meri fatti di cronaca nera”. Salvo rare eccezioni, “la categoria giornalistica – conferma Marta Bonafoni di Radio Popolare – non tiene memoria di queste storie e per questo fatica a metterle insieme, cogliendo i nessi logici e sociologici”. Come su immigrazione e lavoro, anche sui femminicidi le telecamere si accendono e si spengono. Ricominciando ogni volta come se fosse la prima. “Oggi più che mai – conclude Riccardo Iacona – ci sarebbe bisogno di una presa di coscienza collettiva. Cominciando a chiamare le cose col loro nome”. Femminicidi, dunque omicidi di donne in quanto donne, non delitti passionali. O drammi della gelosia.