La tutela del Teatro Opera è il loro obiettivo. Per difenderlo da scelte che possano decretare la sua morte. Dalle scelte aziendali a quelle dello Stato, la paura è di perdere un simbolo della cultura di Roma. Per evitarlo la strada obbligata è lo sciopero: 4 ore oggi, si replica giovedì, durante la prima del “Rienzi”. Una scelta compatta che arriva da Cgil, Cisl e Uil.
LE MOTIVAZIONI - Una decisione non semplice presa dopo diverse assemblee dei lavoratori. Incrociare le braccia, per loro, è l’unico modo per sensibilizzare chi entrerà nella struttura in questi giorni. Sul banco degli imputati “politiche, metodi e scelte gestionali – scrivono le organizzazioni sindacali – che rischiano seriamente di compromettere a breve la rilevanza e la capacità di produzione culturale”. A partire dalla legge 100/2010, che non lascia spazio al “settore lirico e coreutico”.
Come sempre è la mancanza di liquidità a mietere vittime. Lo schema futuro lascia i Comuni da soli nel fronteggiare le spese delle Fondazioni. Tradotto: saranno le amministrazioni locali che dovranno garantire le iniezioni di liquidità. Il diktat è scritto nero su bianco nel provvedimento firmato dall'allora ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. I trasferimenti dovranno essere in egual misura a quelli garantiti in precedenza dello Stato. Il rischio però è che soldi in cassa non ce ne siano. E le strutture vengano così declassate a teatri di tradizione. Trasformandosi in “scatole vuote”, sottolineano i lavoratori.
IL FONDO - Una scelta in continuità con l’idea che con “la cultura non si mangia”. Su 250 milioni di euro di risorse del Fondo unico per lo spettacolo, 25 spettavano all’Opera. Altri arrivavano 18 dal Campidoglio. Che da domani, con la Regione, dovrà tirare fuori i soldi. A guardare i bilanci, l’impresa è ardua. E scatta il campanello d’allarme per i 494 dipendenti della Fondazione.
I SINDACATI - Preoccupazione che si sposta sul cartellone e sugli spettacoli in programma. Con la questione locale che si lega a doppio filo a quello nazionale. I sindacati segnalano “la sensibile diminuzione di rappresentazioni di opere e balletti prodotti: le recite di balletto, ad esempio, sono di fatto quasi dimezzate”. Non solo. A questo si aggiunge “lo svuotamento degli organici stabili, indispensabili al mantenimento della qualità e della capacità produttiva”.
Tutto questo mentre, denunciano ancora le organizzazioni sindacali, si moltiplicano “i contratti professionali, di consulenza e a progetto”. Senza provvedere a sanare le carenze dell’azienda. Mancano dunque chiarezza e trasparenza “sul piano di ristrutturazione degli spazi della Fondazione”. Sul tavolo c’è anche la questione degli amministrativi costretti a traslocare in un appartamento privato in via d’Azeglio, a due passi dal teatro.
L'AFFITTO UFFICI - Costo dell’operazione? Oltre 200mila euro l’anno che per i lavoratori sono una maggiore spesa di cui si potrebbe fare tranquillamente a meno. Senza dimenticare le esternalizzazione dei servizi di vigilanza e biglietteria. “Tutto avvenuto nell’assordante silenzio del sindaco Alemanno e dell’assessore alla Cultura Gasperini”, attaccano i dipendenti dell’Opera.
“Incapacità, carenze e ritardi di organizzazione della produzione e della stagione – spiegano i sindacati – che non permettono il miglior utilizzo delle risorse economiche, umane, professionali e delle strutture, con conseguenti aggravi di spesa facilmente evitabili”. Quello che fa più rabbia “è la mancanza di confronto con i vertici della Fondazione”.
Lo sciopero si trasforma così in un appello lanciato a tutti i candidati sindaco “per fare chiarezza su quali siano le intenzioni e gli impegni – scrivono Cgil, Cisl e Uil – il destino della Fondazione e il mantenimento della eccellenza del Teatro dell’Opera”. Per molti un simbolo di Roma. “Ma che – dice un lavoratore – di questo passo, rischia di sparire per sempre”.