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“Genesi”, le meraviglie del pianeta§negli scatti di Sebastião Salgado

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Otto anni di lavoro, trenta reportage, migliaia di foto nei luoghi più sperduti e incontaminati del pianeta. Dopo aver documentato la fine della manodopera industriale su larga scala e un’umanità In cammino, Sebastião Salgado compie il suo viaggio forse più lontano, e non solo geograficamente. Davanti al suo obiettivo il mondo delle origini, quello che per millenni è esistito senza che la mano dell’uomo ne accelerasse i ritmi, piegandone le leggi. Una Genesi da cui ripartire per pensare a un nuovo modo di relazionarsi con il pianeta. Dal 15 maggio al 15 settembre il museo dell’Ara Pacis ospita – in contemporanea con Londra, Rio De Janeiro e Toronto – l’ultimo grande lavoro del maestro brasiliano. “Una chiamata alle armi”, come la definisce Salgado, che mentre ci mostra le meraviglie del mondo punta al risveglio di una coscienza ambientalista, “perché è necessario agire adesso per preservare le terre e i mari incontaminati, riparando anche ai danni causati fin qui”.

Sebastião Salgado e sua moglie Lélia – curatrice della mostra realizzata da Amazonas Images, prodotta da Contrasto e Zètema e promossa dall’assessorato alla cultura capitolina, sovrintendenza ai Beni Culturali e dalla Camera di Commercio di Roma - hanno già cominciato a farlo, inventando un progetto fotografico e ambientale insieme, che è soprattutto un progetto di vita. “Tredici anni fa, terminato un lungo reportage, avevo perso ogni speranza sulla possibilità di sopravvivenza della specie umana sulla Terra. Stavo male, mi sentivo morto. Così ho voluto fermarmi. E con mia moglie abbiamo deciso di ripartire da un progetto di riforestazione su larga scala. Abbiamo piantato oltre 2milioni di alberi in Brasile, nella terra dove sono nato. Solo dopo è venuta l’idea di Genesi, una campionatura di quella parte del pianeta – forse un 45% - che resta ancora viva e che noi tutti abbiamo il dovere di proteggere”.   

200 SCATTI DAL NORD AL SUD DEL MONDO - In mostra oltre 200 foto in b/n: dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia. “Come riuscire ad esporre tutto il pianeta in un unico luogo? – ha raccontato oggi Lélia Wanick Salgado - Così abbiamo proceduto per aree geografiche, dividendo il globo in 5 parti: il Sud del Pianeta, l’Africa, “i santuari della terra” (le isole che  custodiscono una biodiversità particolarissima, come il Madagascar o la Papua Nuova Guinea), l’emisfero Nord e l’Amazzonia, il polmone del mondo”. Immensità, armonia, bellezza. Difficile rendere la potenza delle immagini di Salgado, i sentimenti di stupore e curiosità che suscitano, quel primo senso di irrealtà che il nostro sguardo suggerisce di fronte a un mondo a noi sconosciuto. Dalle folle di cuccioli di elefanti marini della penisola antartica agli scenografici iceberg dalle incredibili forme plastiche, dagli uomini Yali i cui corpi si confondono tra le foglie e i tronchi delle foreste indonesiane alle distese di bianco su cui si stagliano le carovane di popolazioni Nenci in migrazione fino al circolo polare artico. Da un lato i grandi paesaggi colti da lontano (sopra una montagna o da una mongolfiera) – quasi composizioni astratte con le loro larghe campiture di grigi – dall’altro i ritratti e gli scatti ravvicinati delle popolazioni autoctone con cui il fotografo brasiliano ha vissuto per mesi, quelle degli animali incredibilmente ripresi vicinissimo, quasi che la macchina fotografica fosse parte del contesto.

“Prima di Genesi avevo fotografato un solo animale: l’uomo – ha spiegato Salgado – Questa volta dovevo mostrare tutte le specie: da quella animale alla vegetale alla minerale. Per farlo ho capito che dovevo mettermi al loro stesso livello, entrarci dentro per cercare di comprenderle. Mi serviva uno sguardo incontaminato e un tempo senza fretta”. Le sue foto restituiscono questa temporalità, complice anche il luminosissimo bianco e nero giocato nelle sue infinite gradazioni: una sconfinata tavolozza che nelle mani di Salgado si anima di colori. “L’universo è colorato – ha commentato oggi – ma io non potrei mai fotografarlo così, perché il colore rappresenta ai miei occhi una perdita di concentrazione. Il mio b/n, attraverso la sua gamma di grigi, diventa allora un mezzo di astrazione, una forma per uscire dal colore. Sta a chi guarda, poi, tornare a colorarlo”.

© Sebastião SalgadoAmazonas Images, Brasile, 2009


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