Si chiama Wheelchair Rugby. Viene dal Canada, si gioca su una carrozzina ed è riservato ai soli portatori di disabilità grave. Rufo di disabilità ne sa qualcosa. Ci convive ormai da due anni, da quando dopo un banale tuffo in mare è finito sul letto di una clinica riabilitativa sospeso tra la vita e la morte. Oggi trentasettenne, padre di tre figli, tetraplegico, ha scoperto nel rugby nuove motivazioni, dopo un cammino lungo e faticoso che avrebbe stroncato chiunque. Grazie allo sport ha trovato la sua nuova strada che percorre con la stessa energia di quando faceva immersioni in apnea o scherma. Di quando aveva il pieno possesso del suo corpo. Dopo un inizio in salita, si è rimesso in moto, ha fondato una squadra di rugby per disabili e vuole promuovere questo sport a Roma come hanno già fatto nel Veneto. La meta però è lontana e la strada in salita, una fatica tutta da sopportare come per la nazionale italiana che oggi affronterà la Scozia nel Sei Nazioni. E lui sarà li a sostenerla.
Quanto tempo è passato dal tuo infortunio
Sono passati due anni e mezzo, ora mi sento meglio ma è stata veramente dura. Nella prima fase di recupero sono entrato in una nota struttura riabilitativa di Roma per uscirne però ancora peggio di prima. Ero pieno di piaghe da decubito che si stavano infettando. Con la mia compagna abbiamo deciso quindi di trasferirci in Inghilterra a Stoke Mandeville dove tra l’altro hanno inventato le paraolimpiadi e dove ho conosciuto il rugby in carrozzina. Di quel giorno maledetto che cambiò la mia vita è rimasta la sensazione di essere diverso. Può sembrare banale ma prendere consapevolezza di ciò che mi è accaduto non è stato facile. Io semplicemente non riesco ad avere altri sentimenti se non il rimorso di essere stato incauto.
Prima dell’incidente praticavi altri sport?
Il paradosso è che probabilmente non ero mai stato così in forma come nel periodo in cui mi sono fatto male. Mi ero appassionato all’ apnea, nuotavo, facevo esercizi di respirazione, ero in contatto con il mio fisico. Andavo in bicicletta, ho fatto Judo, Scherma. Ero molto attivo anche se più proiettato negli sport individuali. Lo sport di squadra non lo avevo mai considerato. Dopo l’infortunio tutto ha avuto un senso diverso. Ho cominciato ad apprezzare l’idea di giocare in un gruppo, avere un ruolo in questo gruppo nonostante i mie limiti fisici. L’idea di condividere con gli altri sforzi e soddisfazioni cominciava ad allettarmi.
Perché hai pensato allo sport come alternativa alla tua nuova condizione?
Per istinto e perché è stata la prima cosa cui pensavo di dover rinunciare dopo il mio incidente. Diciamo che è stata un sfida con me stesso. Avere la testa impegnata in un progetto, focalizzare un obiettivo mi aiuta. Ho ricominciato ad avere contatto con il mio corpo, a dialogare con lui scoprendo di poter ricominciare a confrontarmi in una sfida anche a livello agonistico.
Cosa significa per uno come te ricominciare a fare sport sapendo di doversi adattare ad una nuova realtà?
Significa riprogrammare testa e corpo e credo sia difficile su entrambi i fronti. In queste situazioni per prima cosa sottovaluti le potenzialità del tuo fisico. Superato questo ostacolo poi scopri di poter arrivare dove non ti aspetteresti di arrivare. Ed è un lavoro molto difficile. Così come è duro allenare un fisico che ha bisogno ora di attenzioni diverse da prima. Non avendo una mobilità armonica e smetti di concentrarti sulla tua parte attiva perdi facilmente tonicità e recuperare è veramente tosta. Psicologicamente è molto frustrante ma anche motivante.
Tornato a Roma, passato l’incubo peggiore ti sei impegnato in questo nuovo progetto. Vuoi parlarcene?
Dall’Inghilterra sono tornato con l’idea di realizzare una squadra di rugby in carrozzina a Roma dove non esistevano esempi di questo tipo. Ho subito contattato l’allenatore della nazionale di Wheelchair rugby Francesco Bernardeschi e lui si è dimostrato entusiasta. Mi ha detto, trova spazi e uomini e partiamo. Allora ho contattato Adrian, rumeno, anche lui tetraplegico che avevo conosciuto durante il mio primo ricovero, gli ho parlato di quello che volevo fare e subito ci siamo messi in moto. Abbiamo attaccato locandine nei centri di riabilitazione e all’unità spinale del Cto. In breve abbiamo ricevuto tante adesioni. Poi abbiamo scritto anche all’associazione italiana paraplegici (aipi) e loro hanno mandato una mail con questo nuovo comunicato a tutti gli associati dell’associazione tetraplegici e del centro per l’autonomia. In breve è nata la squadra che si chiama Romanes. Ogni squadra è formata da quattro persone ma il gruppo può arrivare a 12 con le riserve. Trovati gli uomini ora c’era bisogno di trovare gli spazi. Ho chiamato centinaia di associazioni o enti anche religiosi, ma nemmeno ricevevo risposte. Lo sport per disabili non monetizza e questo è un problema anche per quelle strutture, come quelle religiose, che dicono di impegnarsi per il sociale. Alla fine ci siamo rivolti all’associazione Ares, attiva da anni sul territorio di Roma nord, l’unica che si è veramente impegnata in questo nostro progetto. Sono delle persone fantastiche. Ci alleniamo due volte la settimana, il sabato e il lunedì per due ore nella palestra dell’Istituto Itcs Calamandrei a Saxa Rubra. Un luogo lontano e inaccessibile per disabili perché non ci sono mezzi pubblici adatti: il trenino non è accessibile alle carrozzine e alla fermata di Saxa Rubra non c’è il personale quindi rischi anche di non scendere da quel treno. Nonostante tutto dobbiamo ringraziare comunque l’Ares, l’unica ripeto che ci ha dato ascolto e che mi ha riconciliato con il genere umano. Sono persone squisite, si sacrificano per aiutare gli altri. Persone disponibili, aperte che trovavano veramente interesse in un progetto del genere attento alle disabilità. Determinati pure loro a fare qualcosa prima che noi o la Federazione gli chiedessimo nulla. Per noi è un motivo di orgoglio.
A livello nazionale qual è la situazione
In Italia è nata prima la nazionale (grazie al contributo di Claudio de Ponte) e poi le squadre di club. Esistono attualmente solo altri team, tutti in Veneto (Padova, Vicenza e Trieste) mentre a Roma la squadra l’abbiamo inventata noi. Nel 2013 c’è stato anche un campionato italiano sperimentale vinto da Padova. Adesso la Fispes (la nostra federazione) si è impegnata per i prossimi due anni a sostenere la nazionale che tenterà di qualificarsi per le paraolimpiadi di Rio 2016 e per il mondiale del 2015 in Polonia. Nel ranking mondiale l’Italia è al 17° posto. I più forti sono gli Usa, il Canada e l’ Australia. Per aumentare il bacino la Fispes ha inoltre fissto per tutto il 2014 un raduno al mese. Aalcuni saranno ristretti ai soli atleti già selezionati per la nazionale in vista degli europei. Però ci saranno anche alcuni momenti che saranno aperti per infondere la disciplina, aprire alle nuove leve e a possibili nuovi giocatori. Ci saranno provini. Noi lo abbiamo fatto lo scorso fine settimana. Tre giorni di allenamenti, molto intensi, venerdì sabato e domenica. Il prossimo appuntamento con la nazionale è a marzo in un test match con l’Austria. (7/8 /9), l’allenatore della nazionale si chiama René Swarz è paraplegico e viene dal lancio del giavellotto e peso paralimpico. E’ uno molto “incazzoso” e severo. Ci piace.
Chi vi fornisce l’attrezzatura?
Questo è il vero problema. Per giocare servono carrozzine ad hoc che costano 4mila euro l’una. All’inizio abbiamo puntato sulle donazioni private e abbiamo raccolto 3mila euro. Ora ci stiamo muovendo a più largo raggio cercando di coinvolgere anche altri soggetti. Una squadra di rugby di Praga ( “Robots”) ci ha promesso alcune delle loro carrozzine usate.
Vi sentite aiutati dalle istituzioni
Dovrei dire che sono stati di aiuto però non lo sono stati. Noi non ci siamo fatti scoraggiare ma non abbiamo avuto sostegni. La federazione ha aiutato la nazionale a partire ma per il resto si vede poco. Noi vorremmo incontrare l’assessore allo Sport, Luca Pancalli e chiedergli un aiuto, un sostegno che sia materiale. A partire dalle carrozzine fino ad arrivare ai campi. Noi ci alleniamo in quelli da basket nelle scuole a spesso sono fatiscenti o addirittura non accessibili per i disabili. Ad oggi però ci basterebbe anche solo avere più visibilità per far conoscere a tutti che c’è questa opportunità. Questo sport è molto emozionante. Da una bella immagine delle persone che lo praticano .Il mio sogno però è organizzare uno stage a Roma con la Nazionale per Pasqua o per il 25 aprile, dove far giocare anche Pancalli e fargli toccare con mano questa disciplina.