Il 3 aprile saranno passati 9 anni da quando Roma ha salutato una delle sue regine. La musicista Gabriella Ferri, testaccina di nascita e di cuore, ci ha lasciato drammaticamente e misteriosamente in un giorno di inizio primavera del 2004, consegnando un'eredità artistica preziosa a molti giovani che, in seguito, hanno seguito le sue orme e la sua ispirazione. La Capitale recentemente le ha dedicato uno spazio, il Centro Culturale Gabriella Ferri nel Municipio V, tra via delle Cave di Pietralata e via Gabriele Galantara, nato dopo l’intervento di ristrutturazione e riqualificazione di un immobile degli anni ’70 fortemente danneggiato e in stato di abbandono. Paese Sera invece le dedica un sentito ricordo con una passeggiata attraverso la sua vita e la sua carriera.
GABRIELLA FERRI, LA TESTACCINA
“I ricordi di Testaccio sono meravigliosi: giochi, spensieratezza, allegria. Era un quartiere vivo. Mamma cantava sempre 'usignolo... ma come sa di pianto la tua voce...', è stata lei a farmi amare la musica. Con papà andavo a vendere lacci, lamette e altro ai mercati e anche lì sentivo cantare, vedevo la gente giocare a Zecchinetta”. E' impregnata del colore e dell'odore di ogni ciottolo della Capitale la parola scritta di Gabriella Ferri, e ancor di più lo è quella che ha affidato alla voce grezza e intensa che l'ha fatta diventare l'indiscussa regina della canzone popolare romanesca. “Sono nata a Testaccio il 18 settembre 1942 a piazza Santa Maria Liberatrice”. Non a Roma, ma a Testaccio, afferma orgogliosamente nei suoi scritti. Anzi nel cuore pulsante del quartiere, quella piazza che, con il Teatro Vittoria, i baretti, la mitica pizzeria da Remo, la cucina romana di Agustarello, i cortili, le voci che echeggiavano dai mercati, la chiesa e l'oratorio, dà il benvenuto agli “stranieri” e introduce all'anima di una comunità ancora vivace e verace. “I veri romani siamo noi”, dicono spesso i testaccini. E Gabriella Ferri non poteva che nascere lì, prima di esplorare con le sue lunghissime passeggiate, soprattutto notturne, i meandri più genuini della Capitale. I suoi pensieri, intimi, accorati e spesso malinconici, li ha amorevolmente e puntigliosamente raccolti il grande amico Pino Strabioli, nel libro Gabriella Ferri sempre. Un ottimo modo per partire alla scoperta della “diva zingara” che ha incantato le platee del mondo con la nuova luce che ha offerto al repertorio musicale della romanità, dal Barcarolo romano ai brani da osteria come La società dei magnaccioni. A Testaccio la conoscono tutti, sicuramente gli osti, i ristoratori, i negozianti che hanno l'età per averla vista passeggiare e averle chiesto di intonare uno stornello. Perché Gabriella “era una donna vicinissima alla gente. Era molto diva, ma tra la gente si sentiva una del popolo”, come ci ha detto Alessandra Magrini, che su di lei ha costruito lo spettacolo teatrale-musicale I fantasmi de Roma, andato in scena al Teatro Arciliuto, “il teatro della musica e della poesia a Roma” di piazza di Montevecchio 4. Sul palco l'attrice-autrice, anche lei romana, ha portato le note di Gabriella nel 2004, poche settimane prima della sua scomparsa, stesso periodo in cui la cantante scriveva – da Corchiano, in provincia di Viterbo, dove ha passato l'ultima parte della sua vita - “Sono contenta di conoscere la gente”.
LE LUNGHE PASSEGGIATE CON L'AMICO PINO STRABIOLI - Lo possono testimoniare in tanti, primo tra tutti proprio Strabioli, che la incontrò per caso tramite amici comuni all'inizio degli anni '80 e non la lasciò più. “Dal giorno del nostro incontro e fino alla sua morte c'è stato un rapporto intensissimo di frequentazione, fatto di lunghissime passeggiate, spesso notturne. All'epoca lei abitava a Campo de' Fiori, sopra il ristorante che guarda la statua di Giordano Bruno e il cinema Farnese. Io abitavo a via Santa Maria in Monticelli, quella era la nostra zona. Partivamo col buio e spesso portavamo via dei pezzi di Roma, dei sampietrini, dei frammenti di intonaco. Le piaceva moltissimo fare la ‘ladra di Roma'”. Prima di allora Gabriella la potevi incontrare all'Archivio di Stato di Corso del Rinascimento 40, dove andava a cercare vecchi spartiti e a studiare la canzone popolare di cui si era appassionata giovanissima. Oppure a piazza di Spagna, dove “per campare” ha fatto la commessa in un negozio. O ancora, la sera, a piazza del Popolo, che amava frequentare perché era “piena di pittori, scrittori, attori”. Poi arrivarono i contratti discografici, la televisione, le vendite stratosferiche della sua versione di La società dei magnaccioni, un vero inno per i giovani degli anni Sessanta. Per un periodo “tradì” la sua Testaccio e il centro storico per andare ad abitare con la mamma a via Muzio Scevola 81, al Tuscolano. Ma mai, Gabriella, tradì la romanità. La sua voce risuonava ovunque, tra le stradine capitoline, con le strofe di Vecchia Roma o Casetta de Trastevere. “Cantava dappertutto, nei vicoli, di notte. Andava da Francesco, il barbiere di via di Tor Millina, e cantava anche lì”, racconta Pino. Nei suo vagabondaggi preferiva essere protetta dall'oscurità e dalla luce lunare, perché passeggiare di giorno era “difficile”. “Tutti la riconoscevano, anche perché era una donna vistosa e voluminosa, appariscente, e si metteva addosso quelle che chiamava le 'cioccaglie'- ricorda Pino - ciondoli, pendenti, collane, orecchini. Di giorno tutti volevano salutarla, abbracciarla, cantare con lei. E quando passavamo dalle parti di piazza Navona, dove la gente non si aspettava di incontrarla, come poteva succedere facilmente a Testaccio o a Trastevere, i fan impazzivano di gioia”. Ecco perché la notte, la Roma silenziosa e libera dal caos brulicante degli uffici e delle automobili. Il giovedì la tappa era spesso a via di Panico 23, al locale Baronato Quattro Bellezze, tra via de' Coronari e corso Vittorio Emanuele, dove Dominot, clown en travesti, reinventava Edith Piaf.
DAL GRANDE STILISTA ALLO STRACCIAROLO - Scapigliata, girava per negozietti, mercatini, antiquari, ma le sue “cioccaglie” e i suoi abiti dalla forte personalità potevano venire dalle bancarelle di Porta Portese e del suo caos domenicale, così come dai negozi di lusso di via dei Condotti. “Dal grande stilista allo stracciarolo”, diceva. Anche la sua voce e le sue emozioni musicali percorrevano la Capitale con ardore, tra l'alto e il basso, tra i grandi teatri e le mercerie. A metà degli anni Sessanta, Gabriella Ferri illuminava il Bagaglino, che al tempo era in vicolo della Campanella. Da lì le sue canzoni partirono per altri, lontani orizzonti, facendola diventare la “romanaccia dei due mondi”, perché la Ferri incise nel 1968 È scesa ormai la sera, 45 giri che le darà fortuna e popolarità, il cui lato B Ti regalo i miei occhi spopolò in America Latina e fu tradotto in spagnolo lanciando il suo tour trionfale nelle terre ispanofone. Ma poi il richiamo della Lupa tornò irresistibile. E dal Bagaglino nacquero anche i due leggendari programmi televisivi di Antonello Falqui, cuciti su misura dell'artista: Dove sta Zazà e Mazza Bubù. Volle girare la sigla del primo in uno scenario “industriale”, incorniciando con la sua voce la sopraelevata all'altezza della via Prenestina. D'altronde la sua seconda città era New York, e Gabriella era una donna molto metropolitana. Ma il posto che preferiva per esibirsi era il teatro. “Quando le capitava di rievocare i concerti al Teatro Sistina si emozionava molto, perché si creava un rapporto fortissimo con il pubblico”. Al Folkstudio, il reame dei cantautori di via Garibaldi che vide nascere De Gregori, Venditti e Rino Gaetano, fu solo di passaggio, così come al Piper Club di via Tagliamento, che “apparteneva” più a Patty Pravo. Ma quando le esibizioni non dovevano essere pubbliche, l'oscurità e l'intimità dell'amicizia trascinavano questa zingara, popolana e figlia dei fiori insieme, dalla “tana” di Campo de' Fiori su Ponte Sisto, per farla immergere dentro Trastevere e assaporare i piatti della trattoria Cencio-La Parolaccia in vicolo del Cinque. “Era amica di Bambù – ricorda Strabioli - e lo andavamo sempre a salutare insieme. Gabriella amava tantissimo quel posto, anche se era molto turistico”. Oppure per fare un salto in altri posti del cuore: il leggendario Augusto a Trastevere, il re della cucina romana a piazza de Renzi, o l'Osteria del vecchio Pegno a vicolo Montevecchio 8. Il tocco esoticamente casereccio di questa diva locale e cosmopolita sfiorava poi via dei Giubbonari, Ponte Garibaldi, via Garibaldi. A volte anche piazza Vittorio e il quartiere Esquilino, dove le capitò di finire a cena, in modo del tutto casuale, in un ristorante dietro piazza Indipendenza. Le “piccole cose dell'anima” le custodiva così dall'arrogante aggressività del “crudele mercato” da cui voleva trarle in salvo.
"LA TUA VOCE E' LA NOSTRA BUSSOLA" - Cantata e mediatizzata da mezzo mondo, cercava spesso rifugio dalla sua popolarità e scriveva: “Non vendo niente, neanche la mia ultima, segreta, speranza di incontrare chi mi crede anche solo per un attimo”. Apparteneva al pubblico e alla sua città, ma senza i compromessi dell'ambiguità e dell'ipocrisia. Si nutriva di malinconia sin dalla gioventù, quando scriveva “Ho fatto tardi quando sono nata. Ma non chiedermi perché. So che sei un banale apparente gentiluomo. Io sono tanto infelice e sarà così fino alle fine”. E l'ombrosità la inseguì davvero, fino alla fine, insieme alla depressione. L'ultima tappa artistica, e di successo, la fece esibendosi nel 1997 a Villa Celimontana, il parco sulla collina del Celio che da decenni è associato alla buona musica. Poi si defilò, per coccolare la sua malinconia, fino al 3 aprile 2004, quando concluse misteriosamente il suo viaggio a Corchiano, dove cadde da una finestra di casa. Forse nelle sue passeggiate notturne non si spingeva fino al Campidoglio, dove migliaia di suoi amici romani le resero omaggio alla camera ardente, o fino al Cimitero del Verano, dove riposa insieme a maestri del cinema, della musica e della letteratura. Chi oggi ha vent'anni o poco più l'ha appena sfiorata, ma sicuramente l'ha amata grazie all'omaggio di Ferzan Ozpetek, che in Saturno contro ha fatto aleggiare le note della celeberrima Remedios. Una delle ultime foto, invece, l'ha immortalata con l'amico di sempre Pino Strabioli all'Osteria del Vecchio Pegno: “L'ultima volta ci siamo andati a cena insieme al termine di un lungo giro per la città, solo pochi giorni prima che morisse. Lì ci intercettò il paparazzo Rino Barillari, e le rubò uno scatto che tengono ancora orgogliosamente appeso nel locale”. “Dimenticarti è davvero impossibile tesoro mio. Nessuno dei romani che conosco baratterebbe il tuo ricordo col niente che gli resta. La tua voce è la nostra bussola. La certezza che questa è ancora casa nostra”. È la dedica che le ha lasciato un caro amico. Un altro grandissimo portavoce della romanità: Renato Zero.
(Dichiarazioni dell'artista tratte da "Gabriella Ferri sempre" di Pino Strabioli, Iacobelli Edizioni)